‘Brevimiranza’, ovvero la miopia dei partiti

Perché le istituzioni politiche non riescono ad affrontare gli enormi problemi sociali che affliggono gli stati e i cittadini

Nel 1950 gli Italiani erano 46 milioni e i Francesi 41 milioni e c’era una certa invidia da parte dei cugini d’oltralpe nei confronti della prolificità italiana.
Oggi i Francesi sono circa 10 milioni in più degli Italiani.

Prima di continuare, preciso che questo breve intervento non riguarda l’andamento della popolazione e i pareri che ciascuno può avere su questo tema: è solo l’occasione per mostrare altro.
I dati fattuali ci dicono che il problema demografico è stato affrontato dai due paesi con esiti che hanno capovolto la situazione del 1950 creando un fattore destabilizzante per la società italiana. Negli ultimi dieci anni, a fronte di una prolificità francese che si attesta intorno a 800 mila bambini per anno, in Italia siamo meno di 400 mila, cioè la metà. L’ultimo allarme dell’Istat è di qualche giorno fa quando è stato registrato un altro valore negativo relativo al tasso di fecondità.
È interessante notare che il 1993 è l’anno in cui si inverte il rapporto natalità/mortalità in Italia. Da quell’anno nascono meno persone di quelle che muoiono e si tratta di ben 32 anni di tale tendenza.

Il problema che dobbiamo sollevare, andando oltre l’andamento della popolazione e oltre qualunque soluzione si possa dare è il fatto che di questi argomenti non si parla. Dobbiamo allora comprendere – questa è la mission del nostro centro-studi – come e perché il sistema politico non sia in grado di affrontare una serie di questioni rilevanti per il futuro. I motivi, come si usa dire, sono di carattere strutturale (nella nostra terminologia riguardano le forme che compongono il sistema).

La questione demografica, pur essendo importante, non viene affrontata da almeno 32 anni senza alcun tipo di provvedimenti. Dobbiamo allora ricordare che quel problema presenta una caratteristica che condivide con un’altra dozzina di problemi altrettanto rilevanti che vanno dal debito pubblico all’istruzione: non produce sintomi evidenti e quindi non attiva alcun allarme sociale per l’evoluzione lenta e silenziosa che lo caratterizza.

Questo tipo di problemi che mancano di evidenza sociale, dovrebbero essere analizzati da una politica evoluta e in particolare dalle istituzioni che prendono le decisioni, ma questo non può avvenire dato che le istituzioni, per come sono strutturate, non prendono in carico problemi che non abbiano la capacità di imporsi all’attenzione sociale e produrre consenso. Come mai questo accade? perché le forme del nostro sistema politico sono strutturate in modo tale da considerare e prendere in carico solo i problemi che creano un immediato allarme sociale e producono una sorta di convergenza con una parte significativa di popolazione votante.
È capitato che i governi abbiano risolto alcuni problemi, ma sempre in situazioni di emergenza, quando questo gli consentiva di crescere nel consenso.
Possiamo fare qualche esempio: l’intervento della Presidente del Consiglio Meloni sulla disastrosa situazione di Caivano è un caso che viene affrontato con un certo successo. In altri casi il problema non viene nemmeno risolto: si finge di affrontarlo al solo scopo di creare una convergenza emotiva con la parte di elettorato interessata. Basta quindi un semplice collegamento, come nel caso delle migrazioni, dove alcuni partiti mettono nel programma i problemi che hanno destato allarme. Non saranno in grado di risolvere quei problemi ma la semplice convergenza emotiva porta voti.

Il problema demografico è molto importante perché può comportare la tendenziale estinzione degli Italiani, ma, non creando allarme sociale, non rientra tra i problemi che le istituzioni politiche ritengono di dover affrontare.
Lasciare languire per decenni situazioni rilevanti comporterà danni sociali che, quando appariranno all’orizzonte, parranno improvvisi ma invece si preparavano da decenni. Le istituzioni non sono nemmeno in grado di leggere quei problemi.

L’esistenza di processi rilevanti che non si affrontano perché non conviene spendere energie senza un ritorno immediato di consenso, è l’esempio della “brevimiranza” (il contrario della ‘lungimiranza’) della classe politica, che non è un problema di qualità dei politici, come pensano quelli che ignorano l’analisi della realtà attraverso le “forme”, ma è un problema, appunto, di “forme” (la qualità dei politici è conseguenza e non causa). Per questo è necessario comprendere la necessità di un cambiamento del sistema politico che è la proposta culturale che portiamo avanti come “Centro Studi Forme e Riforme”, quando diciamo che occorre modificare le forme a cominciare dalla forma partito.

Diciamo pure che la risposta dei benpensanti della sinistra evoluta, (quella che comprende alcuni giornali importanti e una parte di accademia) risulta inadeguata e per certi aspetti mistificante. Mentre non sorprende che dalla destra non arrivi alcun contributo a questo dibattito e sia normale cercare il consenso con semplici luoghi comuni che sono solo disvalori storici e politici, il problema invece è che la narrazione della sinistra non affronta il problema sistemico che porta a trascurare una serie di processi rilevanti perché non producono consenso.

Dove porterà un sistema così costruito? Ben prima che si verificassero gli ultimi avvenimenti sconcertanti (Guerra in Ucraina, trumpismo ecc.)  avevamo detto che si correva verso “rotture sistemiche” perché un sistema generale con queste caratteristiche, con queste “forme”, produce per necessità una serie di crisi continue. La guerra in Ucraina, così come altre situazioni critiche, sono dovute al carattere disfunzionale del sistema politico che non è in grado di risolvere i problemi sociali, ma li aggrava.

Abbiamo qualche proposta alternativa? Si, l’abbiamo, si chiama “Politicità sociale”, ma essa implica una serie di riforme difficili, a cominciare da quella che riguarda il rapporto partiti-istituzioni statali che ha la medesima forma disfunzionale in tutto il mondo e che consiste nella confusione di ruoli e nel cumulo (chi governa o legifera ha pure incarichi rilevanti nei “partiti”, cioè nelle “parti”) che ne è la conseguenza. Tale forma ha assoluto bisogno di consenso e prende in considerazione solo ciò che produce voti. Purtroppo, non ci sono studi accademici che mostrino le conseguenze della mancanza di “politicità sociale”, per cui questo problema appare astratto e lontano dalla percezione della gente: infatti nessuna delle riforme necessarie alla politicità sociale è nell’agenda politica perché manca, a livello culturale, la consapevolezza della natura dei problemi della società globale e quindi non c’è pressione sociale verso le riforme.

Una lettura pessimistica ci dice che il mondo è una bomba ad orologeria pronta a esplodere, una meno pessimistica ci dice che una serie di crisi sistemiche ci attendono, sperando di essere in grado di superarle. In ogni caso i tempi non saranno tranquilli perché stanno venendo a maturazione in tutto il mondo quei problemi che non abbiamo la possibilità di comprendere e quindi di affrontare.
Le rotture sistemiche sono le conseguenze imprevedibili del divenire delle forme che non siamo in grado di controllare per l’immensa complessità che veicolano. Le rotture sistemiche del passato hanno comportato milioni di morti e grandi sconvolgimenti che pare si stiano dimenticando.

Non è il caso che ci addentriamo nella lunga elaborazione che stiamo facendo da anni in “Forme e Riforme” per proporre un modello sostenibile in cui l’azione politico-istituzionale non sia dominata dalla ricerca del consenso. Possiamo dire che il concetto di “politicità sociale”, che implica un cambiamento notevole delle forme istituzionali, si svolge con l’occhio rivolto alla politicità istituzionale, quella del potere dello stato che prende decisioni per tutti: il potere eminente che dovremmo curare per evitare che si trasformi in un mostro autocratico o in uno strumento insignificante incapace di affrontare le crisi. Nell’occidente attuale è quest’ultima versione che è in vigore e che è grave quanto la prima. La politicità sociale è l’enzima virtuoso che tende a rendere fisiologica ed efficace la politicità istituzionale, ma essa è assente e lo vediamo dal fatto che i problemi che la politicità istituzionale non affronta non vengono alla luce nemmeno nella società civile, ecco in sintesi il gigantesco problema dei sistemi politici ora che si apre il secondo quarto del ventunesimo secolo


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