10. EU – Considerazioni

Considerazioni sull’Europa

L’ Europa è qualcosa di più di un progetto, è concretamente e idealmente l’unico destino possibile per l’Italia.

In un mondo post novecentesco, quindi posteriore al secolo delle brutture politiche e belliche che conosciamo, un mondo dove dominano tecnologia e comunicazioni e che sinteticamente chiamiamo globalizzato, l’unico modo di ridare la giusta efficacia e la giusta rivalutazione ideale alla politica è incastonarla laddove le decisioni possano essere efficaci e incisive.

Quindi è inutile e dannoso vagheggiare nostalgie per presunti mondi passati meravigliosi e progettare mondi premoderni quasi a metà del 21mo secolo.

“Forme e Riforme” si occupa di forme della politica.

Una analisi formale delle patologie che impediscono alle varie democrazie occidentali di funzionare correttamente non può quindi esimersi dall’analisi della forma insieme inedita ed ibrida rappresentata dalla UE.

Nel mondo globalizzato che è ormai realtà da decenni e che sarà sempre più lo scenario di riferimento politico principale anche dopo la parentesi pandemica attuale, saranno sempre più i megastati federali a dare quella dimensione minima che permette di esercitare un reale controllo politico, a partire da fisco e difesa ma in generale sull’intera area di azione.

L’ UE sconta paradossalmente l’antica filiazione “mercantile”, minimale che era l’unica possibile al tempo di Spinelli e anche dopo, in una eurozona ancora sostanzialmente “infettata” dai nazionalismi incrociati che l’hanno portata sull’orlo del baratro e oltre varie volte nel ‘900.

Altrettanto paradossalmente i nemici attuali dell’Europa che, secondo la mia analisi stanno iniziando una parabola discendente, sulla falsariga del virus che oggi attanaglia l’europa e il mondo intero, imputano all’Europa dei difetti di efficienza, sensibilità e velocità che sono principalmente legati a vecchi schemi nazionalistici che peraltro vengono portati avanti in primis proprio dai partiti sovranisti all’interno dell’istituzione, in un “blame game” che ha sempre dei tornaconti evidenti sul fronte interno.

Il vecchio problema dell’eccesso di democrazia che può portare a votare la sua negazione. Non essendoci una Costituzione ma solo dei trattati, anche formalmente l’equivoco si prolunga. Ecco il primo punto formale sul quale agire, una vera Costituzione.

Il secondo, immediato, è la lingua.

La lingua comune può creare quella coesione culturale a medio-lungo termine che porta anche all’effettiva sovranità allargata.

Tale lingua, che non può che essere l’inglese, già lingua franca globale, andrebbe insegnata con determinazione e costanza fin dalla prima elementare, sulla falsariga di quanto succede in Svizzera, paese federale multilingue per eccellenza.

A livello di funzionamento della macchina, l’UE è il festival della superfetazione istituzionale.

Dal punto di vista delle forme, non un buon inizio.

Il potere esecutivo è in gran parte prerogativa del Consiglio europeo che è l’espressione dei capi di governo e di Stato dei singoli paesi, quindi fondamentalmente un luogo di mediazioni ma anche di litigi e quindi non espressivo alla fine di una volontà comune, come nei singoli Paesi stessi avviene con più frequenza.

Il meccanismo formale decisionale è spesso inficiato dalla richiesta di unanimità (indice di quell’eccesso di riguardo per le istanze nazionali, come in una specie di federalismo rovesciato dove le regioni dominano senza quasi ostacoli), in altri casi vige la maggioranza qualificata che fa riferimento al criterio pre-politico del numero di abitanti dei singoli paesi membri (per una percentuale totale che viaggia intorno al 60%).

Il potere legislativo parte da una iniziativa sempre della Commissione che viene vagliata dai parlamenti nazionali (di nuovo) e successivamente dal Parlamento europeo che formalmente ha di fatto solo una funzione emendativa fino alla conciliazione finale o meno con i deliberata della Commissione stessa.

Il potere giudiziario ha quasi un ruolo arbitrale e di definizione degli standard medi e di come vengono applicati nei paesi membri.

Quindi, pur nella variazione dei suoi comportamenti nel tempo, con particolare riferimento al crescente peso come foro super partes in controversie internazionali, resta anche questo un meccanismo istituzionale col freno a mano tirato.

A livello di ente intermedio, che è il cuore della nostra riflessione politica, l’UE, come troppo spesso accade, tende pilatescamente a non imporre un proprio modello forte delegando alle singole nazioni il meccanismo di accesso al Parlamento.

Non si può neanche quindi parlare di superamento del modello duale in quanto a monte vige la legge elettorale nazionale, già piena di bugs partitici, e a valle un sistema sostanzialmente proporzionale che favorisce grandi raggruppamenti basati su affinità di tipo ideologico sempre più blande e con l’ennesima superfetazione di gruppi europei.

A fronte di questa veloce analisi è chiaro che le forme politiche dell’UE non sono oggettivamente in grado di rispondere con pienezza alle istanze di una area che, sostanzialmente e al di là delle interessate follie dei retrogradi nazionalisti di ogni paese, sembra pronta per un salto di qualità che il mondo sembra chiedere con sempre maggiore forza, anche in merito alla chiarezza dei rapporti con il partner atlantico per eccellenza e

quindi con la NATO, unico riferimento possibile in termini geopolitici.

Come spesso diciamo oggi Kohl e Mitterrand, per dire di due statisti veri e con visione a medio-lungo termine, rara avis nel mondo odierno, avrebbero serie difficoltà a far fare il salto di qualità necessario perché se è vero che la politica è sempre negoziato e compromesso, è anche vero che le forme sono inesorabilmente più forti e oggi subiscono il doppio smacco di essere intrinsecamente inadeguate al nuovo mondo e contemporaneamente facile bersaglio degli interessati nemici del progresso reale che non può che essere davvero unitario.

A livello elettivo, riducendo il delta di anni (oggi 5), l’europa dovrebbe andare alle urne con cadenza triennale o quadriennale relegando le singole elezioni negli stati membri ad elezioni regionali ma effettuate esattamente con gli stessi criteri e quindi con una uniformità di legge elettorale.

Sempre mantenendo, secondo le nostre intuizioni, unità di mandato e nessuna sommatoria degli stessi nonché limite temporale, il Parlamento dovrebbe guadagnare importanza ed essere espressione di “enti intermedi” che già nativamente dovrebbero avere ampiezza europea.

Servirebbe quindi anche una legge sui partiti europea con incastonamento formale nella Costituzione stessa per evidenziare l’assetto a tre.

Inutile dire che a parlamento eletto, la funzione legislativa ed esecutiva dovrebbero essere portate avanti dal parlamento libero da vincoli e dal governo, sempre mantenendo la primaria distinzione tra i due piani e rendendo realmente coesa l’azione della maggioranza, con principale rilievo su politica economica, fisco, difesa, welfare, politiche sanitarie e ambientali etc etc.

Alla base di tutto però resta prioritaria una Costituzione europea unitaria che coraggiosamente stabilisca il punto zero fissando questi punti una volta per tutte.


Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *