1.
Cinque bambini seduti in terra sono disposti a cerchio. Ciascuno ha in mano delle carte da gioco.
Uno di loro, col ciuffo sugli occhi, d’impeto dichiara: ”Tocca a me cominciare!”, e butta una carta.
Un altro protesta: “No, il primo è quello a destra di chi distribuisce.”
Un terzo ribatte: ”Non sai niente, sta a quello a sinistra, quindi sta a me.”
Un quarto, con gli occhiali, ribatte: “Così non cominciamo più. Facciamo alla conta e vediamo a chi tocca.”
Il primo soffia via i capelli dagli occhi e fa: “Va bene. Io so la filastrocca.” E comincia la conta.
Ma il quarto lo ferma: “Già, così sai a chi tocca!” Guarda gli altri in viso e continua: “È sempre la stessa e sa in anticipo con chi finisce! Allora facciamo così: io conto a voce bassa da 1 a 100, voi mi dite quando smettere e da lì continuo a contare fino a 100 a partire da destra, va bene?”
“Sì”, risponde il secondo, “ma conti ad alta voce, così ti interrompiamo con numeri diversi. Dai, comincia…”
2.
L’estrazione “a sorte” o “a caso” ci è nota fin da bambini. Forse occorre avere una certa età, oggi, per ricordare l’“Ambarabà ciccì coccò”, ma i piccini si divertono ancora adesso con la “mosca cieca” e il “nascondino”, giochi che prevedono la scelta “a caso” di chi dovrà coprirsi gli occhi oppure contare volgendo le spalle agli altri mentre si nascondono.
Da sempre la scelta “a caso” appare più neutrale di quella volontaria. E poi, se la scelta dovesse dimostrarsi errata, non si potrebbe incolpare nessuno dello sbaglio. Ammesso che, guardando le cose a distanza di tempo, non si possa scoprire che forse qualche nascosta ragione quella scelta apparentemente casuale ce l’aveva.
Quei bambini che all’inizio abbiamo visto giocare, crescono, cominciano ad andare a scuola, ad apprendere delle regole di linguaggio, di misura, di pensiero, di bene e di male. Qualcuno, quelle regole così importanti, le conosce bene ed è in grado di insegnarle loro: è il maestro. A lui, incarnato nel genitore o comunque nell’adulto cui si viene affidati, ci si può rivolgere per essere aiutati a scegliere o almeno per essere orientati nella scelta.
Quando il bambino entra nella fase della pubertà e poi nella piena adolescenza, quando cioè comincia ad avere alle spalle una sua “storia”, sente sempre più forte il desiderio di essere lui a scegliere al posto del maestro. Per poterlo fare deve mettere in dubbio sia il “caso” sia la “competenza” del maestro, cioè il suo “merito”.
Il caso e il merito entrano così a far parte di un mondo di scelte in cui le persone sono continuamente coinvolte: quando la scelta non è importante o quando non è disponibile un esperto competente sulle possibili conseguenze, la persona si rivolge al caso, altrimenti confronta la nuova esperienza con altre pregresse, entrando nel “merito” e trovando elementi di riferimento per orientarsi e giustificare la scelta.
L’esempio dei bambini ci insegna che in nessun caso siamo sollevati dal dubbio di avere effettuato la scelta giusta: infatti, colui che decide le regole della scelta a caso, oppure chi viene considerato meritevole di essere considerato competente, sulla base di quale certezza è alieno dal giudizio di apriorismi, di personalismi, o comunque di deformazioni della realtà o del criterio di scelta?
3.
Entriamo nel gioco.
Quali sono le figure che lo compongono?
Ci sono i giocatori, c’è la scelta da fare, c’è il metodo da applicare perché la scelta possa essere fatta. Queste sono le figure “reali” o “materiali”.
Poi ci sono, quasi invisibili, altre figure “immateriali”: c’è il maestro, ci sono le regole imparate altrove da altri insegnanti, e poi c’è il “buon senso comune”, quello che consente di ammettere come “adatto” un metodo piuttosto che un altro.
Una delle figure immateriali potrebbe però entrare nel gruppo delle “materiali”.
È il maestro. Questa figura, per diventare reale, ha bisogno di uscire dall’immagine astratta di un essere “superiore” alla scelta. Un Dio può non essere influenzato da una serie di concetti e di preconcetti quando dà dei giudizi, ma un maestro, per quanto si sforzi, non potrà mai dimenticare se stesso.
Nell’esempio del gioco iniziale, non abbiamo considerato un’altra possibilità: quella cioè di affidare la scelta al maestro. Naturalmente, per affidargli una tale responsabilità dobbiamo avere fiducia sicura in lui, al punto da poter scommettere plausibilmente sulla correttezza della sua scelta.
In questo modo, al posto dell’estrazione a sorte, per raggiungere il nostro obiettivo utilizziamo un altro metodo: l’elezione.
I due metodi, quello dell’estrazione a sorte e quello dell’elezione, non sono alternativi, nella mente di quei bambini. Costituiscono semplicemente delle possibilità tra cui scegliere, senza che nessuna di esse sia preferibile all’altra.
Se un bambino può essere dubbioso quando un altro recita la sua filastrocca, quello stesso bambino può restare dubbioso se un suo compagno di gioco propone, come maestro, il suo, oppure il suo papà.
In sostanza, tanto l’estrazione a sorte quanto l’elezione si basano su una scommessa: spero di raggiungere il mio obiettivo affidandolo ad altre entità, ignote come lo è il caso, o identificabili come lo è l’eletto.
4.
Per quale motivo il bambino dubita sia del metodo di estrazione a sorte che del metodo elettivo?
Evidentemente teme di dover subire un danno inappellabile generato dal fatto che, indipendentemente dal metodo scelto, le conseguenze risultanti sarebbero comunque fuori dal suo controllo.
Ambedue i metodi richiedono dunque una certa dose di possibilità di verifica e una certa dose di fiducia.
Per questi aspetti sono indifferenti, e la preferenza per uno dei due metodi, da questo solo punto di vista, sarebbe aprioristica.
Eppure, nel mondo degli adulti, la preferenza sia nel mondo della politica che in quello del lavoro è stata attribuita con forza all’elezione, sia quando la scelta sia da compiere da una moltitudine di persone indifferenziate sia che se ne debba incaricare un gruppo ristretto di persone.
Per avere un’idea di cosa abbia determinato la preferenza per il metodo elettorale occorre esplorare la storia umana con occhi un poco diversi da quelli dei libri scolastici, in cui le date da imparare si riferiscono essenzialmente a guerre tra Stati, a incoronazioni, a cambio di regimi politici ecc. Non è frequente infatti trovare testi che leggano gli eventi interpretandoli come effetto di conflitti interni ai sistemi sociali, di mutamenti del peso di questa o quest’altra componente delle società, di tentativi di raggiungere un equilibrio tra le componenti o di scomporlo a favore di una di esse, eccetera. Si tratta di una lettura politica ed al tempo stesso sociologica della storia umana.
Tutto sommato, infatti, questa può anche essere letta come una serie di tentativi di far funzionare gruppi sociali sempre più numerosi e complessi. La concentrazione del potere così come la divisione dei compiti con i conseguenti ruoli storici delle varie componenti sociali e i vari accavallamenti tra queste rispondono tutti alle stesse domanda cui fin dai tempi remoti non sfugge, consapevolmente o meno, nessun essere umano: cosa ci sto a fare al mondo e come posso raggiungere quell’idea di un me stesso migliore cui aspiro senza raggiungerlo mai. Da queste domande, magari rafforzate dal bisogno o mitigate dal benessere, è dipesa e ancora dipende la storia umana, l’adesione o la sfiducia nei confronti di religioni o di partiti, il rafforzamento o l’erosione di equilibri politici e sociali. Dire che Luigi XIV si trovò in mezzo alla rivoluzione francese perché viveva nel lusso grazie alle tasse esose che faceva pagare ai cittadini è certamente una verità, ma se domando: “avrebbe potuto evitare la rivoluzione?”, mi si risponde che la domanda non è concreta e quindi è inutile. Eppure, è una domanda che, nell’ottica degli equilibri sociali così come nell’ambito della scelta tra elezione (magari obbligata perché dinastica nel caso del regno o di una dittatura) ed estrazione a sorte, potrebbe magari avere senso. Infatti il criterio di scelta non è una variabile senza peso.
5.
Analizziamo il confronto tra elezione ed estrazione a sorte, facendoci aiutare dalla numerosa letteratura disponibile e in particolare, per la facilità attuale di recupero, da uno degli ultimi saggi pubblicati, quello targato Einaudi, scritto dalla coppia Urbinati-Vandelli e intitolato “La democrazia del sorteggio”.
Il testo nasce, come esso dichiara ufficialmente, come offerta di chiarimento collettivo delle idee dopo l’ingresso a furor di popolo dl M5S in parlamento. Questo sedicente “movimento” non ha infatti portato in alto loco soltanto dei suoi partigiani, ma anche delle intenzioni. Poiché il “movimento” si dichiara un insieme di “gente qualsiasi” e una “folla in rete”, pretende di rappresentare l’ideale della democrazia. Siccome la diffusa sensazione che chi sta nei partiti e al governo pensi ai fatti propri e non a quelli della “folla”, è naturale che il “sistema Casaleggio-Grillo” si sia fin dall’inizio posto in opposizione alla struttura democratica esistente. Ma poiché non ha chiarito nulla delle sue intenzioni in quanto si dichiara movimento anti ideologico e non un classico partito dotato di una sua visione, diventa necessario non tanto criticare quel raggruppamento di persone apparentemente indistinto ma dotato in realtà di una regia, quanto capire concretamente quale sia la sostanza del problema per affrontare questo, più che Grillo, razionalmente.
Il clima di sfiducia in cui siamo immersi non riguarda solo una fetta della realtà, ma è più generalizzato. Si pretende il “merito” ma si mettono in discussione le competenze, si va a votare in misura ridotta perché nessun eletto sarà in grado di soddisfare i propri bisogni, si disprezzano le regole comuni perché non rispondono alla concretezza della quotidianità, si irridono i rituali con cui si prendono le decisioni da parte dei vari poteri perché appaiono come autocelebrazioni di casta. Infine, anche i partiti politici, che per loro natura dovrebbero essere espressione del popolo a tutti i livelli, sono vissuti come opportunità di carriera per alcuni, che vivono distaccati dal resto della gente.
Che quindi nasca il desiderio di restituire anima vitale al sistema di rappresentanza sembra cosa ragionevole. Ma in questo modo si mette il dito nella piaga del sistema di scelta e del suo significato. Infatti, se, come scrive Bobbio richiamato dalla Urbinati, la democrazia scardina l’idea ordinaria di potere, che tradizionalmente va dall’alto al basso, si pone il problema del come e del perché le democrazie sembrino invece mantenere proprio questa direzione del potere, tanto che Van Reybrouck le accusa di mantenersi “aristocratiche”.
In realtà non esiste sistema di scelta che non mostri prima o poi significative controindicazioni.
6.
L’elezione (estraggo queste righe dal testo citato all’inizio, che riporto nei virgolettati) non contraddice l’uguaglianza che caratterizza l’estrazione a sorte. La persona però viene eletta in base a delle specificità. Queste la fanno ritenere più adatta di altre a ricoprire un ruolo politico o amministrativo. Indipendentemente da chi opera la scelta selettiva (un gruppo omogeneo sociale, un partito…) è indubbio che essa avviene in un clima concorrenziale e competitivo che spesso coinvolge, più che le qualità della persona, l’immagine che questa dà di sé e il peso dei compromessi di cui si fa portatrice nei confronti dei suoi gruppi di sostegno. Si crea necessariamente, nel confronto tra i candidati, una gerarchia di “belli” e di “brutti”, di “positivi” e di “negativi”, per cui la scelta è densa di elementi non tutti pertinenti all’ obiettivo immediato dell’elezione. Dopo l’elezione, la responsabilità dell’eletto è verso gli elettori, non verso tutti i cittadini, quindi è lui solo il titolare delle decisioni, che dovrebbe prendere nei limiti delle leggi civili e penali. Il giudizio sull’operato dell’eletto, se negativo, può provocare in casi particolari la revoca, che normalmente non è a portata dei cittadini salvo in caso di insurrezione popolare, o la non rielezione, che però è spesso ben lontana dal giudizio individuale. I social odierni stanno perdendo il peso iniziale a causa del “pompaggio” di giudizi positivi o negativi di un pubblico virtuale, spesso organizzato da chi ha interessa a proteggere/promuovere/denigrare/sconfiggere il personaggio al centro dei messaggi. Nonostante ciò stanno mutando la figura sociale dell’assemblea di popolo e le modalità con cui può essere influenzata.
Eppure, l’elezione democratica rappresenta un enorme passo avanti nella storia dei rapporti sociali, perché rese i cittadini tutti uguali come elettori. Risolse, all’epoca della sua introduzione, “le turbolenze del governo dei molti…, i problemi di legittimità delle decisioni dei parlamenti, la sfiducia e l’instabilità”, quelle situazioni critiche, insomma, che però, invece, soffriamo oggi. “La distinzione tra dimensione politica e dimensione sociale”, rappresentata dall’essere di fatto i cittadini economicamente e socialmente diversi tra loro ma uguali nel voto, “fu in grado, parafrasando Przeworski, di tradurre il sasso in scheda elettorale,… la lotta tra le fazioni in competizione politica e ideologica”. Cadute le ideologie ufficiali, sono però oggi rimaste quelle che navigano in modo sotterraneo o perché non sono dichiarate o perché sono confuse e immature. La lotta oggi torna ad essere quella tra fazioni ideologiche.
Aggiunge però, confortando chi, come Forme&Riforme, sostiene la separazione tra partiti e istituzioni, che “perché quella distinzione”, quella tra dimensione politica e dimensione sociale, “fosse in grado di funzionare il popolo sociale doveva sottostare al popolo politico; le istituzioni della città dovevano essere messe al riparo dalle lotte tra le fazioni sociali e le classi.”
Si adombra qui un tema oggi focale: in che misura il conflitto politico rispetta il cosiddetto “bene comune”? Qual è il limite della competizione “politica e ideologica”? Dove si deve arrestare la ricerca del successo di parte quando entra in conflitto con gli interessi dell’intera collettività?
Aggiunge la Urbinati: “…a partire dal ‘700 l’elezione funzionò eccezionalmente bene anche grazie a questa finzione di elettori eguali che traduce le differenze tra cittadini. Se la democrazia elettorale versa oggi in una crisi preoccupante la ragione è da cercarsi in quelle istituzioni e procedure che derivano la loro legittimità dalle elezioni, a dimostrazione del fatto che la finzione… non è più creduta o credibile…. L’isonomia è scopertamente solo finzione.”
7.
Il sorteggio che, come abbiamo visto, è solo uno strumento come lo è l’elezione, a causa degli scompensi manifestati dal metodo elettorale viene proposto dal M5S non tanto come proposta utile alla soluzione dei problemi esistenti, quanto come reazione e sfida al sistema attuale. In questo modo finisce per far perdere di vista la sua utilità e la sua collocazione possibile, per essere usato come un’arma contro il sistema dei partiti, del parlamento, delle elezioni, come cioè se in sé rappresentasse una rivoluzione. Senza ricordare (o magari tacendo) il fatto che, con questa funzione, il sorteggio fu l’arma in pugno anche del Fronte dell’Uomo Qualunque di Giannini, cui l’M5S si avvicina in molti punti.
Si tratta quindi di verificare, lasciando cadere le urla di Grillo, a quale utilità pratica potrebbe portare il sorteggio, piuttosto che brandirlo come una clava per colpire a caso il sistema.
Come abbiamo già compreso, a differenza dall’elezione, che implica l’espressione di volontà, l’estrazione a sorte si affida al caso. Qualunque scelta sia espressa dal sorteggio, non si può incolparne nessuno, quindi esso esclude i conflitti e la distinzione tra “belli” e “brutti” tipici dell’elezione, a meno che non si voglia dare al caso una veste divina.
La democrazia, però, accetta il conflitto, che è l’espressione delle diversità. Ma il sorteggio, in realtà, non confligge con la democrazia, perché non esclude il conflitto in tutti i momenti del confronto, ma solo nei casi in cui deve essere effettuata una scelta precisa.
Sono innumerevoli le persone che si affidano al caso per “tentare la fortuna”. Molte di esse però più che affidarsi a un’entità neutra come il caso si rivolgono alla probabilità. Naturalmente, perché questa abbia valore occorre un numero di prove precedenti considerevole, cosa che nel caso delle scelte politiche non si può praticare.
L’ingresso dell’elemento probabilistico, e quindi della scelta del metodo matematico per usufruirne con vantaggio, ci fa comprendere che per consentire al caso di essere tale, cioè non influenzato da fattori esterni o da volontà interessate ai risultati, occorre che anche il sorteggio disponga di una regia, ovvero di una messinscena, di regole trasparenti, di organizzazione chiara, di preparazione ecc.
Il merito non è un criterio fondante del sorteggio, ma ne può fare uso al bisogno, ad esempio quando i sorteggiati devono disporre di competenze specifiche di un certo livello per affrontare la questione in ballo, oppure quando occorre formare le persone sorteggiate mediante esperti neutri in modo che il parere che esprimeranno sia adeguato al tema loro sottoposto ecc.
8.
Come l’elezione, il sorteggio riguarda persone disponibili ad essere, in un caso, elette, e sorteggiate nell’altro, quindi la volontarietà è contemplata in ambedue i metodi. La differenza consiste, a parte la modalità di scelta dei candidati, nel fatto che:
– per sua natura il sorteggio implica che il sorteggiato resti sempre formalmente “pari” a tutti gli altri cittadini. È scelto infatti (ma non in tutti i casi) perché sia “voce” del gruppo da cui viene estratto, non perché sia portatore di specifiche idee o progetti personali.
– Il sorteggio implica per la persona estratta un percorso diverso da quello della persona eletta. Questa differenza è dovuta alla diversità del metodo di designazione.
– Il sorteggio, nella maggioranza dei casi, consente al prescelto di restare nel ruolo civico da cui proviene, mentre l’elezione comporta un’incorporazione nel ruolo cui si è eletti. Non a caso il sorteggio è visto come correttivo del sistema elettivo, interpretato come produttore di un’aristocrazia a parte.
– Il sorteggio, quando sia applicato in altri ambiti rispetto a quelli attualmente già consentiti dalla legge, di norma è più vicino all’idea di movimento civile che di partito politico. Infatti è legato ad uno specifico obiettivo, raggiunto il quale la persona estratta ritorna all’ordinarietà della sua vita civile.
– Il sorteggio è sollecitato dalla necessità di consentire un materiale scambio di esperienze e di punti di vista tra persone elette e cittadini, così da ampliare il numero e la tipologia degli stakeholders che contribuiscono alla realizzazione di un progetto. Questo scambio virtuoso comporta una variazione del ruolo e della responsabilità sia del cittadino che della persona eletta, e una maggiore comprensione dei diversi punti di vista. In questo senso, l’estrazione a sorte correttamente utilizzata potrebbe consentire di sperimentare più a fondo il testo costituzionale nei suoi primi articoli.
Conclusione: come si può notare, questo articolo non ha l’ambizione di dare risposta a tutti i dubbi e gli interrogativi. Il suo scopo è solo quello di consentire alle persone interessate di trovare materia utile per i propri approfondimenti. Inoltre, poiché l’articolo 67 della nostra costituzione stabilisce che il deputato rappresenta tutta la nazione ma, come fa notare spesso il prof. Giuseppe Polistena, la rappresentatività territoriale sembra contraddirlo, l’estrazione a sorte, per i motivi citati nel paragrafo 8 potrebbe aiutare almeno a lenire la difficoltà. Il sorteggio non è una panacea, ma solo uno strumento da applicare con cognizione sia per motivi pratici di comunione d’intenti tra parti sociali nella realizzazione di progetti, ma anche come modalità di crescita sociale di tutti. Il problema del conflitto classificato come “rancore”, che ha radici certamente nella perdita di identità sociale di molti cittadini, e la cui soluzione spesso viene rinviata al futuro con la proposta dello studio della Costituzione nelle scuole, può trovare nell’estrazione a sorte un coinvolgimento collettivo e una comprensione degli altri ruoli sociali che, nella pratica, costituisce l’esercizio e la sperimentazione della Costituzione stessa. Infine, guardando oltre i limiti degli Stati, un utilizzo collettivo di sistemi democratici, di cui uno potrebbe essere quello del sorteggio dato che viene utilizzato largamente in Europa e altrove, potrebbe avvicinare tra loro sistemi sociali diversificati profondamente dalla storia, e consentire di usare uno stesso linguaggio politico e sociale a partire dall’Europa e dai suoi cittadini.
Giuseppe Maria Greco
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