06. Legge Elettorale

LEGGE ELETTORALE e RAPPRESENTANZA

 Il voto è personale ed eguale, libero e segreto.
Il suo esercizio è dovere civico (Costituzione Italiana, art.48)

Vogliamo qui affrontare il tema della Legge Elettorale, non con l’obiettivo di confrontare o tantomeno scegliere quale sia il sistema elettivo migliore (proporzionale, maggioritario, soglie di sbarramento, …), ma piuttosto per analizzare quali siano le caratteristiche, le esigenze, gli aspetti irrinunciabili che un meccanismo di espressione del voto e scelta delle assemblee elettive deve avere per garantire la finalità, generica ma importante, di consentire “il potere del popolo”, nel senso espresso dall’articolo 1 della nostra Costituzione.

È evidente che il l’esercizio del voto rappresenta il momento principe con cui si concretizza proprio il principio fondamentale della Carta costituzionale, cioè l’esercizio del potere da parte del popolo e, se vogliamo, dà iniziale consistenza al concetto, altrimenti astratto, di Democrazia. Va comunque riconosciuto che la scelta del sistema elettorale non è semplicemente una questione tecnica, ma sottende in qualche modo soprattutto una scelta politica e, in quanto tale, presenta sempre un grado di soggettività che, al variare delle opinioni e del contesto, può portare a conclusioni diverse, per non dire talvolta anche opposte. Quanto espresso in queste righe perciò rappresenta la proposta che Forme & Riforme intende presentare per contribuire al miglioramento della vita democratica del nostro Paese in questo preciso momento, sperando sia possibile aprire un dibattito che coinvolga tutti attori della scena politica.

Rimanendo nell’alveo del principio di Rappresentatività (in qualche modo contrapposto alla delega) e posticipando per ora eventuali ragionamenti sulla democrazia diretta, ci sentiamo di affermare che lo scopo principale di una legge elettorale è quello di garantire una buona rappresentanza, cioè di eleggere un buon Parlamento (nella accezione più ampia del termine). L’affermazione non è ovvia, perché sappiamo che spesso l’aspettativa di una legge elettorale è che dia stabilità ai governi, cioè che produca risultati in grado di garantire la governabilità. La serie copiosa di riforme elettorali che tutti conosciamo e che hanno caratterizzato sia il secolo scorso sia il presente, ci fa capire quanto i due aspetti siano stati dibattuti e perseguiti, ora l’uno ora l’altro, dai partiti, dai governi, anche dai cittadini, mediante il ricorso a referendum o addirittura alla Consulta. Il dibattito perciò non è affatto banale e richiede, ancora, una scelta precisa che alla fine è senz’altro ‘politica’ e che noi ci sentiamo di fare in favore della rappresentanza, convinti che la governabilità sia più facile da ottenere con un buon Parlamento o, per dirla in termini contrari, una rappresentanza limitata e compressa è la premessa per l’ingovernabilità (e gli esempi non mancano, nella nostra storia recente). Aggiungiamo un ulteriore elemento, constatabile anche in democrazie diversa dalla nostra, a supporto del principio di rappresentanza, affermando che questo è la caratteristica fondamentale di (quasi) tutte le democrazie parlamentari, nelle quali i governi nascono, operano e spesso finiscono e vengono sostituiti in Parlamento. Analizzeremo comunque in un differente capitolo le complesse e importanti relazioni che debbono esistere tra queste due fondamentali istituzioni delle democrazie parlamentari: il Parlamento ed il Governo.

Il punto fondamentale quindi che una buona Legge Elettorale deve avere, è assicurare la connessione tra eletti ed elettori, di modo che il Parlamento dia buona rappresentatività al Paese reale. Sembrerebbe scontato, ma non lo è affatto: basta guardare alla storia italiana degli ultimi 100 anni. Le riforme elettorali introdotte in questo periodo si possono classificare in due grandi gruppi: quelle “sistemiche” e quelle “partigiane”. Le prime (sostanzialmente solo due, a nostro avviso, ed anche con qualche incertezza) hanno cercato di instaurare un qualche collegamento tra gli elettori e gli eletti, dando la possibilità di scegliere direttamente i nomi dei candidati e rendere chiaro a ciascuno il collegamento tra il voto espresso ed il risultato ottenuto. Le altre, invece, la maggioranza (almeno cinque), proprio per la loro ‘partigianeria’, miravano a favorire il successo di una parte (la parte proponente la riforma, ovviamente) mediante meccanismi o clausole che in qualche modo snaturavano l’atteso rapporto “proporzionale” tra elettori ed eletti, in nome della già citata “governabilità”. Ci riferiamo ai noti “premi di maggioranza” che, a volte in maniera spudorata, come nel caso della legge Acerbo (1923), altre volte più velatamente (Italicum, 2014), introducevano clausole per rendere ‘maggioranza’ ciò che maggioranza non era, se non, eventualmente, in maniera relativa. La favola del “sapere chi ha vinto la sera delle elezioni” è stata sempre usata per far passare forzature al limite della costituzionalità per favorire il governo di un partito o di un gruppo di partiti.  Un altro meccanismo, introdotto relativamente di recente, che toglie agli elettori la possibilità di esprimere una scelta per una persona precisa, è quello delle “liste bloccate”, cioè elenchi, di varia lunghezza, di candidati da cui prelevare gli eletti secondo un ordine prestabilito, scelto naturalmente dal partito proponente. Questo metodo toglie agli elettori la possibilità di selezionare i candidati, lasciando al partito il pieno controllo di chi è dentro e chi è fuori e depotenziando completamente il legame tra elettore ed eletto.

Tale legame è a nostro avviso essenziale per rendere più efficace ed effettivo il funzionamento ‘democratico’ (in senso etimologico) del Paese ed è basato su due meccanismi relazionali indispensabili: il “prendere in conto” ed il “rendere conto”.

Il primo attiene alla capacità del candidato di relazionarsi ai suoi potenziali elettori raccogliendone le aspettative, le preferenze, le necessità e attivandosi per attuarle, in caso di elezione. Per fare questo, è naturalmente indispensabile concentrare la campagna elettorale sul territorio, circoscrizione o collegio in cui il candidato sarà presente e l’effetto sarà tanto più fruttuoso, quanto più l’area interessata è ristretta (naturalmente compatibilmente col tipo di elezione in questione).
Fondamentale in questa fase è la mediazione che può essere svolta dal ‘partito’, cioè, nell’accezione che ci sembra più in linea con i dettami costituzionali, l’ente intermedio, fatto di cittadini, che media tra loro e le istituzioni, raccoglie pareri, aspettative, necessità, le traduce in programma e si propone di realizzarlo attraverso le persone candidate (anche il metodo per la selezione dei candidati è lasciato ad altro capitolo)

Il secondo meccanismo richiesto da una sana fisiologia della democrazia è il “rendere conto”, che naturalmente dovrebbe avvenire nella fase successiva all’elezione, quindi solo indirettamente legato alla legge elettorale. Ciò nonostante, lo consideriamo momento indispensabile per completare quel concetto di piena rappresentanza che abbiamo supposto essere la base di ogni legge elettorale. L’eletto torna davanti agli elettori (a tutti, non solo ai suoi) e racconta cosa e perché ha fatto, non fatto o fatto male. È naturale che questa fase ha maggior senso, o forse ha senso solo nel caso in cui l’eletto si ripresenti per un successivo mandato e perciò sarebbe inutile nel caso esista un limite ai mandati. Lasciando ad un altro capitolo questo tema, si potrebbe qui solo notare che essendo l’eletto parte di un partito, sarà quest’ultimo a dover rendere conto complessivamente dei comportamenti dei suoi eletti, volendo senz’altro presentarsi nuovamente, pur con persone diverse, al giudizio degli elettori.

Dando per consolidati e irrinunciabili questi due principi, c’è una serie di corollari che discendono da essi, cioè alcuni dettagli implementativi che, se non rispettati, potrebbero mettere a repentaglio i principi basilari appena detti. Vediamo brevemente di cosa si tratta.

Multicandidature: devono essere tassativamente escluse, in quanto in totale contraddizione con la necessità di relazionarsi ad un collegio, un territorio. Potendo l’elezione avvenire in un singolo collegio, non avrebbe senso fare promesse o rendere conto in un collegio diverso, nel quale il candidato non è stato eletto. Si può inoltre dimostrare che le Multicandidature producono distorsioni del sistema elettorale che minano la credibilità del sistema intero, come la rappresentanza di genere o il controllo dei partiti sugli eletti e gli esclusi. Inoltre, l’usanza di candidare il capo od i notabili del partito in molti collegi, non serve che a sviluppare e consolidare il fenomeno del “leaderismo” populista, il capo che tutto sa e tutto decide, altra caratteristica dell’attuale fase politica che ci sentiamo di contrastare perché opposta alla nostra visione del sistema democratico.

Preferenze: in base a quanto detto, è evidente che l’elettore deve avere la possibilità di esprimere il suo voto collegandolo ad una o più persone precise, candidate da un partito o da una coalizione. Significa che l’elettore deve poter esprimere una o più preferenze oppure il voto ad un candidato uninominale. In ogni caso, i candidati in lista devono essere collegati ed eleggibili in un determinato collegio / territorio e va eliminata l’aleatorietà nell’assegnazione dei seggi. Anche le liste chiuse preconfezionate sono contrarie agli scopi che si deve prefiggere una buona legge elettorale, per limitare lo strapotere dei partiti e favorire il sano rapporto tra elettori e candidati/eletti.

Incandidabilità: chiunque rivesta già un incarico o un ruolo elettivo di qualunque livello non può essere candidabile per una nuova posizione, a meno che non lasci il primo incarico prima di candidarsi al secondo. Naturalmente questo ha a che fare anche con il rispetto del mandato, che viene trattato in altro capitolo.

Firme: va rimosso ogni ostacolo alla libera partecipazione dei cittadini alla contesa elettorale, come vanno escluse facilitazioni a chi è già dentro alle istituzioni. Ci si riferisce qui principalmente ai vincoli spesso sproporzionati che vengono imposti a chi vuole presentarsi come candidato in termini di numero di firme, vincoli che sono generalmente completamente eliminati per i partiti già presenti nelle assemblee elettive. Si dovrà quindi prevedere per tutti un numero di firme congruo con le dimensioni del collegio / circoscrizione, in modo da scoraggiare avventure individuali, ma non le iniziative che hanno un evidente sostegno tra gli elettori. Allo stesso tempo, anche i partiti già attivi dovranno seguire le stesse regole e fornire la stessa documentazione, senza scorciatoie che spesso conducono a comportamenti poco ortodossi.

Paracadutati: va valutata la possibilità di limitare le candidature in specifici territori / regioni ai soli residenti nel territorio / regione per evitare il fenomeno dei “paracadutati”, cioè l’assegnazione di “seggi sicuri” a notabili del partito.

Biennio “bianco”: si potrebbe valutare la possibilità di vietare l’entrata in vigore di una nuova legge elettorale nel primo o nei due anni successivi alla sua promulgazione, in modo da evitare quanto più volte verificatosi di fare una riforma elettorale con una mano, tenendo nell’altra gli ultimi sondaggi [quintessenza della partigianeria]

Conclusioni (da togliere eventualmente)

Alla luce di tutto quanto detto, si può concludere che la migliore legge elettorale dovrebbe prevedere:

  • Una quota di seggi eletti con il sistema maggioritario: collegi piccoli, un solo candidato per partito, eventualmente secondo turno a cui può accedere chi supera una certa soglia (quindi non un ballottaggio tra i primi due, ma una seconda scelta tra chi ha superato, esempio, il 15%); la partecipazione al secondo turno può essere facoltativa (desistenza)
  • Una quota di seggi eletti col sistema proporzionale, con una o due preferenze, con eventuale scorporo dei voti (evitando il fenomeno delle liste civetta), eventuale soglia minima per evitare proliferazione di partitini, ma con lo scopo di favorire la rappresentatività
  • Possibilità di esprimere voti disgiunti tra la parte maggioritaria e quella proporzionale

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *