Ma chi nomina i candidati?

Ricordate le Europee del 2014? Renzi era segretario del PD e le capolista nelle 5 circoscrizioni furono altrettante donne, per di più 4 su 5 erano già Deputato del Parlamento italiano (incarico incompatibile con quello di Deputato europeo, ma tant’è).

Ebbene, l’annuncio di queste candidature, avvenne prima che la Direzione del partito le approvasse: è evidente che l’indicazione delle 5 candidate era stato deciso a tavolino da qualche “eminenza” (il Segretario?) del partito, ed è evidente che non erano candidature che nascevano dal processo di selezione dei candidati previsto anche dallo Statuto dello stesso partito.

Ci ricordiamo poi, negli anni successivi, candidati ‘importanti’ piovuti in collegi in cui non c’era certo un legame territoriale, ma solo la certezza dell’elezione. In anni più recenti, basta scorrere le candidature di futuri onorevoli o ministri per vedere che non sono gli organi territoriali a selezionare e decidere le candidature, ma piuttosto criteri legati ad opportunità del momento per garantire l’elezione o l’esclusione di qualche candidato. Le multi-candidature (altra patologia che descriviamo meglio nel capitolo dedicato alla legge elettorale) mostrano logiche che sfuggono al cittadino elettore medio: la stessa persona candidata nell’uninominale in una regione e nel plurinominale in un’altra, lontana 500 chilometri.

Insomma, l’ultima parola (e forse anche la prima) sui candidati viene sempre dal vertice del partito, che approva o boccia candidature in barba alle prescrizioni dello Statuto in vigore.


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