Cultura e conformismo

Nuovi, molteplici e magari contrastanti conformismi si sono andati consolidando, in questi anni; ed è soprattutto latente, nella società culturale italiana, la disposizione a piegarsi ancora ad un altro unico conformismo, non importa di qual colore, solo che le circostanze politiche, di nuovo, lo suggeriscano.
Questo brano esprime ciò che notiamo da tanto tempo, e che la terribile situazione di oggi conferma: le persone “di cultura” - cioè chiunque abbia la capacità di esprimere idee e di esporle utilmente in un determinato momento - nonostante dispongano

di questo dono, tra l’altro non solo per merito proprio, preferiscono serbarlo per sé, nel segreto di pochi, giustificandosi in modi diversi per il non volersi compromettere pubblicamente, tradendo quindi la coerenza del proprio pensiero e la comunità di cui fanno parte, a cui non consentono la libertà di capire e di scegliere.
Le parole che ho trascritto tra virgolette non sono di oggi. Le ho ricopiate da un libro, “Il lungo viaggio – contributo alla storia di una generazione”, scritto da Ruggero Zangrandi nel 1948 e poi da lui rivisitato nel 1962.
In quel volume, Zangrandi racconta la difficile e pericolosa ricerca della verità, durante l’epoca fascista, di molti giovani. Passo dopo passo. Essi passarono dall’adesione al fascismo, in cui erano cresciuti, all’antifascismo grazie ad un lavoro sotterraneo e pericoloso, senza che nessun intellettuale del tempo facesse loro almeno da riferimento, se non da guida. Non molti ricordano, ad esempio, i silenzi di Croce, ma neppure le adesioni al regime di Ungaretti, Bacchelli, Falqui, Longanesi e di tanti altri.
Cosa dobbiamo dire della cultura di oggi? Forse che accendano un confronto per definire i limiti della politica attuale, che facciano a gara per aprire ad essa e alla democrazia nuove strade percorribili e verificabili attorno a cui chiamare tutta la popolazione?
Dal mio piccolo punto di osservazione, vedo che all’estero, in Europa e fuori di essa, i confronti quotidiani delle idee sono più frequenti e più vivaci, ma anch’essi soffrono del limite dell’attualità: è difficile che si argomenti, se non vagamente, sull’ “oggi per il domani”, perché si preferisce mantenere salde le attenzioni sulle urgenze dell’oggi, adattando la propria riflessione giorno per giorno a ciò che crea dibattito fine a se stesso. Un tipico esempio di queste inutili controversie è, in Francia, l’attuale feroce discussione sul tema “islamisme et gauchisme”.
Ma anche da noi, in Italia, si soffre della stessa latitanza del pensiero. Tiro fuori dal cappello un esempio a caso: i giornalisti si chiedono se Draghi sia lontano dalla destra di Salvini per il fatto di non avere inserito nel suo programma i suggerimenti della Lega. Nessuno si chiede invece come mai tali suggerimenti non fossero accettabili, come mai essi fossero chiaramente offerti al popolo votante solo per dar vantaggio a quel partito, come mai si possa da un lato eccepire sul continuo conflitto “di parte” tra i partiti e al loro interno senza chiedersi al tempo stesso come mai ciò non solo sia possibile, a fronte della situazione critica che tutti viviamo, ma come mai non danneggi la tranquilla continuità della vita politica italiana.
Qualcuno potrà non convenire sulla scelta del nostro gruppo di concentrarsi sulle forme politiche, ma è doveroso allora che si preoccupi di non uccidere il dibattito politico lanciando proposte utili alla crescita critica per evitare, un domani, di rientrare negli elenchi dei personaggi “passivi” di un Zangrandi, che nel suo libro riempiono pagine e pagine.

Giuseppe Maria Greco

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