La nostra analisi, che potrebbe riguardare qualsiasi partito, prende spunto dall’articolo del Corsera del 15/11/22 (di cui sopra riportiamo titoli e foto), che ci offre un’ottima occasione per capire la situazione patologica della politica in Italia.
Leggendo i brevi profili sotto le foto dei candidati, non notiamo niente di strano? Possibile che per candidarsi alla guida del Pd si debba già avere un incarico istituzionale? E cosa intendono fare di tale incarico, portarlo a termine contemporaneamente a quello di Segretario di partito? Quale dei due impegni ritengono sia così irrilevante da potersi permettere di espletarli contemporaneamente? Come mai non c’è nemmeno un candidato che proviene dalla cosiddetta società civile?
E’ questa la svolta che attendiamo? Questi sono gli outsider? Presidenti di Regione, sindaci di importanti città o parlamentari in carica.
Come mai nemmeno un amministratore delegato di una società privata? Forse perché nessuna azienda sana, e che vuole rimanere tale, potrebbe permettersi un amministratore che dedichi la maggior parte del suo tempo e delle proprie energie ad un incarico tanto coinvolgente quanto quello di segretario di partito? Di un partito fra l’altro che aspira a rappresentare almeno il 30% della popolazione. Ma come sarebbe possibile conciliare un rilevante incarico in un’azienda privata con il ruolo di segretario? Invece sembra assodato che, quando si tratta di incarichi istituzionali, la cosa sia perfettamente gestibile, anzi auspicabile, viste le candidature. Delle due l’una: o tali incarichi sono irrilevanti oppure si genererà un pesante vuoto gestionale all’interno di quelle istituzioni lasciate semi orfane.
Ultimamente abbiamo avuto un’importante eccezione a questo meccanismo ben rodato: Enrico Letta, che ha lasciato il suo precedente incarico presso l’università, per provare a rimettere in sesto un Pd allo sbando. Da osservatori esterni ci era sembrata una bella novità, un uomo con un importante esperienza e cultura politica alle spalle che decide di dedicarsi anima e corpo al rinnovamento del partito. Avevamo pensato che si sarebbe occupato del radicamento sul territorio, che avrebbe provato a rivitalizzare la base coinvolgendola nei processi decisionali del partito, che avrebbe girato l’Italia per ascoltare le voci del popolo, il grido di dolore di una popolazione in grande difficoltà. Invece, poco dopo aver assunto l’incarico, confrontatosi con i soliti noti, ha sentito la necessità di occuparsi dei problemi del Palazzo. Si è quindi candidato in un collegio certo dove si era aperta una disponibilità ed è entrato in Parlamento. Ma quale imminente pericolo ha motivato questa scelta? Davvero riteneva che il suo ruolo fosse quello di controllare i possibili dissidenti all’interno del Parlamento? Quali grandi rischi correvamo noi italiani rispetto ad un manipolo di uomini forse ancora legati a Renzi?
Di fatto il segretario si è rinchiuso nelle beghe di palazzo, lasciando completamente scoperto il campo del rinnovamento del partito.
Cos’altro deve succedere perché i segretari di partito si accorgano dello scollamento con la popolazione? Il 40% di astensione non è ancora ritenuto un dato significativo? Davvero pensano che noi “pubblico pagante” possiamo accontentarci di assistere ad un giro di giostra fra “politici di professione”? Persone che vivono di politica e il cui unico vero interesse è mantenere sé stessi e i propri incarichi, passando da uno all’altro quando non a più di uno contemporaneamente.
Questo non è fare politica, ovvero fare quella fondamentale attività che deve essere svolta da tutti in varie forme, nell’interesse di tutti. Questo è vivere di politica!
Ma allarghiamo lo sguardo oltre il Pd, per verificare cosa stia succedendo all’interno del Parlamento a due mesi dal voto. I cittadini, che hanno ampiamente dimostrato di non aver gradito l’anticipazione delle elezioni, ora assistono attoniti a nuove manovre. Diversi parlamentari infatti, non hanno nemmeno fatto a tempo ad insediarsi e iniziare a lavorare, che già pensano a nuove elezioni.
Anche nel settore privato si ritiene che, per far carriera, ogni tanto sia necessario cambiare azienda, ma certamente chi assume sta ben attento a valutare la coerenza di percorso e la fedeltà dimostrata nelle aziende precedenti: curriculum che presentano esperienze troppo brevi tendono ad insospettire.
Da questo scellerato, quanto comune ed accettato, comportamento emergono due ordini di patologie:
- la scarsa considerazione delle istituzioni, percepite solo come tappe della propria carriera e popolarità.
- Il fraintendimento del ruolo del partito che non deve essere il luogo dove i politici si creano consenso, ma deve essere un luogo a disposizione dei cittadini per parlare dei loro problemi, definire programmi politici, selezionare i migliori candidati e sostenerli alle elezioni.
Crediamo sia giunta l’ora di cambiare rotta e iniziare a pensare che il rispetto delle istituzioni sia fondamentale, che solo un impegno profondo e duraturo, possa ridare dignità ed efficienza alle stesse. Gli impegni presi devono essere portati a termine con serietà e dedizione fino alla scadenza dell’incarico. Gli incarichi non possono essere cumulati con altri o abbandonati prima della scadenza naturale, per evitare danni economici e l’irrilevanza dell’azione.
Inoltre riteniamo che il ruolo dei partiti sia cruciale e soprattutto debba essere esterno alle istituzioni. I partiti devono controllare l’operato delle istituzioni ma non possono farlo dall’interno perché controllato e controllore devono essere separati, non possono coincidere. Come può un partito vigilare sull’operato del parlamento se il suo segretario e i massimi dirigenti contemporaneamente siedono sui suoi scranni o addirittura svolgono il ruolo di Presidente del Consiglio o di ministro?
Paola Monti
Centro Studi Forme & Riforme
P.S: per approfondire i temi dell’identità della politica, delle sue patologie e dei possibili ri-medi suggeriamo “Politica, questa sconosciuta” Giuseppe Polistena, 2022, Mimesis edizioni