Inconsapevolezza civile

Zingaretti, Presidente Regione LazioLa tornata elettorale di settembre metterà in una luce opaca l’inconsapevolezza civile di cui siamo tutti portatori.
Infatti non riusciamo a vedere, per un antico vulnus, quello che per altri versi è sotto gli occhi di tutti e cioè l’uso strumentale delle istituzioni politiche in funzione del consenso e della carriera, un uso che, inesorabilmente, produce un’endemica disfunzione.

Se leggiamo il Corriere di domenica scorsa (4 Aprile) vediamo riportate, come fossero normali, le seguenti notizie:

A Roma aumenta il pressing dem su Zingaretti”. Evidentemente si ritiene possa vincere senza far cenno che questa “persona fisica” è attualmente Presidente della regione Lazio (dopo essere stato segretario del PD). La notizia appare assolutamente normale.
Nello stesso articolo e con la medesima normalità, si afferma che il presidente della camera Fico, viene considerato "un ottimo candidato per PD  e 5 Stelle come sindaco di Napoli". Il fatto che sia parlamentare e Presidente della camera, non viene considerato un ostacolo, quasi fossero cariche da nulla, che possono essere rimpiazzate facilmente.
Questi sono solo i casi più evidenti. Vedremo tra poco una massa di persone, già impegnate in altre istituzioni, approfittare della tornata elettorale per cercare un altro posto, incuranti dell’istituzione che lasciano o che trascurano.

Siccome noi denunciamo da anni questa pratica, mentre l’opinione pubblica non ne ha ancora colto la gravità, cerchiamo di mostrare, ancora una volta, perché le candidature di persone che hanno in corso un’altra carica elettiva sono gravemente nocive per tutte le istituzioni.

Cercherò di spiegarlo in 2 punti:

  1. Le istituzioni moderne sono gigantesche e si reggono tutte su un apparato burocratico professionale. L’eletto che rappresenta il vertice (un ministro, un sindaco, un presidente) ha tra i suoi compiti quello di entrare nella macchina burocratica e migliorarla e per questo deve conoscerla e lavorarci. Per far questo ha bisogno di un tempo congruo e di non avere altri ruoli o incarichi, visto che sta svolgendo un’importante funzione pubblica nell’interesse di “tutti”. Sia l’abbandono del mandato che il cumulo di altre cariche sono da stigmatizzare perché impediscono di svolgere adeguatamente la funzione per la quale una persona fisica è stata eletta o scelta.
  2. Il punto A non viene di norma rispettato tra l’indifferenza generale dei cittadini. Ecco le conseguenze, sintetizzate in due gravi effetti:
    1. l’eletto utilizza la carica istituzionale per la sua carriera politica personale, si avvale della burocrazia (non la controlla e non la migliora ma la usa) perché la burocrazia tiene l’istituzione nella sua reale assenza aiutandolo a scegliere la campagna di visibilità che gli serve per il futuro e cioè per un altro ruolo e un’altra carica.
    2. Si suggella così il professionismo politico: l’eletto cerca di mantenersi per tutta la vita dentro le istituzioni, passando da una all’altra. Le istituzioni di tutti diventano il luogo di un “mestiere”, ma dato che questo mestiere richiede un’elezione, occorre, oltre alla visibilità data dall’istituzione, un ruolo di rilievo dentro il partito, perché le candidature passano attraverso i partiti. Abbiamo dunque un combinato disposto mai analizzato: occorre seguire la vicenda interna al proprio partito ma anche avere una visibilità pubblica per una adeguata base elettorale. Quello che non si potrà all’interno di queste forme è pensare alle istituzioni e specialmente ragionare sulla loro evoluzione interna, che passa per un miglioramento della burocrazia che si ottiene attraverso provvedimenti che non fanno scalpore e non scaldano gli animi.

La forma dominante costituisce uno strutturale misconoscimento delle istituzioni che iniziano un complessivo processo entropico, che si manifesta nel tendenziale allontanamento dalla società e che determinerà, in un tempo che non interessa al politico perché lungo, le varie forme di rottura sistemica a cui le istituzioni vanno incontro.
Un altro elemento da considerare è la differenza tra il tempo del professionismo politico scandito da elezioni frequenti e quindi breve-medio e il tempo delle istituzioni, il cui rinnovamento implica un tempo lungo e non soggetto ad una visibilità immediata. Sembra allora che le nostre istituzioni siano davvero incompatibili con le attuali forme della politica.

L’abbandono del mandato, pur essendo un fenomeno evidente, non è considerato e viene fatto impunemente perché è già avvenuto il distacco tra società e istituzioni: alle persone fisiche che entrano nelle istituzioni dello Stato, che sono uniche e di tutti, viene permesso questo uso strumentale. Questa, che è la forma attuale della politica, genera un meccanismo che noi denunciamo, ma che continua a imperversare. Per chi volesse allungare lo sguardo, basta vedere le candidature del prossimo settembre

Pino Polistena

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